Quando ad una persona viene diagnosticata una malattia grave e/o cronica è un vero shock, sia per la persona stessa che per i suoi familiari. E’ una doccia così fredda che si fa fatica a capire cosa sta avvenendo: si è confusi, storditi, annichiliti. Improvvisamente la persona si trova a confrontarsi con qualcosa di assolutamente inaspettato ed indesiderato, con un mondo sconosciuto di cui prima si ignorava l’esistenza, un mondo fatto di esami, controlli, valutazioni e terapie.

La diagnosi della malattia segna un confine tra un prima e un dopo: un prima in cui si avevano progetti, sogni ed aspirazioni ed un dopo in cui i piani fatti vanno faticosamente rivisti, cambiati, abbandonati. E’ un’esperienza di perdita così forte che spesso viene paragonata a quella di un lutto. E la prima domanda spontanea che sorge è “perché proprio a me?”.

Accettare la malattia

La prima grande sfida che si pone quindi al malato è quella di accettare la malattia. Ed è una sfida ardua, un percorso impervio ed impegnativo, perché comporta il lasciare andare una parte di sé, un’immagine di sé che ci si era costruiti fino a quel momento, un’immagine “sana”, e fare i conti, venire a patti  con una nuova immagine, “malata”.

Nel caso in cui la malattia diagnosticata sia cronica ma non mortale, il percorso di accettazione consiste nell’accogliere la malattia ed inglobarla nella propria quotidianità, ritrovando un nuovo equilibrio e costruendo un nuovo progetto di vita.

A tutto questo, nel caso di malattie mortali o potenzialmente tali, che si aggravano progressivamente, si deve aggiungere anche il doversi confrontare con la finitezza della propria vita, con la paura della morte e soprattutto di come e quando essa possa avvenire.

Ovviamente questo processo di accettazione della malattia varia da persona a persona, perché ognuno è unico ed ha la propria personalità, ed anche in base alla malattia diagnosticata, perché ognuna ha le proprie specificità.

Generalmente però è un processo che richiede del tempo: la persona in una fase iniziale tenderà a negare la malattia, a non volerla vedere per attutire il forte carico di emozioni negative connesse ad essa. Infatti una volta in cui non si può più far finta di niente e ci si “scontra” con la realtà della malattia

Si possono passare momenti di angoscia intensa ed ansia, reagire con rabbia (spesso verso le persone care) oppure sprofondare nella depressione, nella passività e nella dipendenza dagli altri.

Perché è utile rivolgersi ad uno psicologo e/o psicoterapeuta?

L’intervento psicologico è utile proprio per favorire questo difficile e doloroso processo di accettazione della malattia. Rivolgendosi ad un professionista, la persona malata ha la possibilità di avere uno spazio in cui poter esprimere tutte quelle emozioni intense e dolorose che spesso non riesce a comunicare ai propri cari per paura di far loro del male oppure perché a volte questi tendono a minimizzare proprio per la difficoltà e il dolore di dover affrontare loro stessi la propria ed altrui sofferenza ed angoscia.

Lo psicologo e/o psicoterapeuta, invece, non solo è formato e preparato ad accogliere tutte quelle emozioni dolorose che la persona malata sta vivendo, ma è anche in grado di favorire nel malato la capacità di elaborarle ed innescare così il processo di ricostruzione di una nuova e positiva immagine di sé. Tutto questo con il fine non solo di facilitare l’accettazione della malattia, ma anche di migliorare la qualità della vita nella cronicità.

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