Oggi, 10 Settembre, è la giornata mondiale della prevenzione del suicidio. È stata istituita nel 2003 dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e dell’Associazione Internazionale per la Prevenzione del Suicidio (IASP) per attirare l’attenzione sul suicidio, che rappresenta uno dei maggiori problemi sanitari del mondo: ogni anno circa 1 milione di persone si toglie la vita, ovvero una persona ogni 40 secondi, e, per ogni suicidio, ci sono più di 20 tentativi di suicidio. Il suicidio, dopo gli incidenti stradali, è la seconda  causa di morte tra i giovani tra i 15 e i 29 anni, ed ogni morte è una tragedia per la famiglia, gli amici e i colleghi, la comunità e la società.

Perchè è importante parlare di suicidio?

Perchè parlarne contribuisce ad abbattere lo stigma che avvolge la malattia mentale e il suicidio.

Per questo ho pensato di riportare le parole di Andrea Rosenhaft, un’assistente sociale americana che soffre di depressione e che ha tentato più volte il suicidio. Andrea racconta:

“Sul tema della salute mentale esiste ancora uno stigma. Le persone sussurrano, parlando di depressione, mentre parlano apertamente di cancro e COVID-19 . Nessuno vuole sentire che ho tentato il suicidio. Come se fosse contagioso, come il morbillo. Spaventa le persone a non finire. La parola “pazza”, una parola per la quale provo un grande disgusto, viene pronunciata in tono sommesso alle mie spalle.

Il dolore che spinge qualcuno a tentare di togliersi la vita è inimmaginabile per chi non lo ha mai sperimentato. Le persone hanno una tolleranza emotiva varia, proprio come con il dolore fisico. Continua ad essere diffusa l’errata convinzione che è meglio non chiedere ad una persona se sta pensando di togliersi la vita, perché potremmo in qualche modo mettergli questa idea in testa. Ma, credetemi, se lo chiedi a qualcuno che non ci ha mai pensato, non lo farai ammazzare. Al contrario, se la persona a cui tieni ha contemplato la possibilità del suicidio e le chiedi, in modo non giudicante, se ha pensato al suicidio, le offri l’opportunità di parlare di come si sente e questo ti darà la possibilità di salvare una vita.

Penso al mio più recente tentativo di suicidio (il mio quarto), più di sei anni fa nel 2014, un anno dopo la morte di mio padre. La maggior parte delle persone presume che sia stato un tentativo nato dal dolore, ma è stato il contrario. È stato un tentativo con le radici affondate nel risentimento e nell’ira. Stavo finalmente attraversando un periodo di pace e sollievo, quando è morto, e quello che ho sentito è stato uno tsunami di caos interno. Ho sempre sperato di sentirmi dire da mio padre che ero “abbastanza brava” e improvvisamente mi sono resa conto che non l’avrei mai sentito. Non avrei mai conosciuto la sua approvazione. Ho da sempre sentito il bisogno di accontentarlo, dall’imparare il francese in seconda media al giocare a scacchi e a softball, sperando invano di ricevere da lui qualche apprezzamento.

Con la sua morte, ogni opportunità era persa. Ero inconsciamente infuriata. E non potendo distruggere lui, ho deciso di distruggere me stessa. Nelle prime ore di quella mattina, il primo marzo, ho sentito delle voci (la sua voce?), che mi dicevano che dovevo morire, che sarei stata meglio da morta, che non meritavo di vivere. Quindi, ho obbedito e ingoiato una bottiglia di pillole. A metà mattina non ero ancora morta, ma mi sentivo male, così sono andata al pronto soccorso.

Ad oggi, non so se i miei episodi depressivi mi porteranno ancora a tentare il suicidio. Il mio terapeuta sostiene di no. Però so che ora ho imparato a dirigere la mia rabbia verso l’esterno e in modo appropriato, senza implodere o esplodere, e quindi la mia rabbia non alimenterà di nuovo il fuoco suicida.

La depressione, grazie a mio padre e alla sua famiglia, è insita nel mio DNA. Chissà quando colpirà ancora?

La scorsa estate Hilary Tisch, una donna di trentasei anni, designer di gioielli e gemmologa, si è tolta la vita. Anche lei soffriva di depressione. Suo padre, Steve Tisch, è un magnate dell’intrattenimento, noto per essere co-proprietario dei New York Giants, oltre ad aver prodotto film tra cui Forrest Gump, Snatch e Risky Business. Sebbene provenisse da una vita di privilegi, questo non l’ha salvata dalla percezione che l’angoscia della depressione fosse interminabile.

Settembre è il mese nazionale per la prevenzione del suicidio. Dobbiamo riconoscere, come paese, che la depressione è una malattia debilitante, della quale non ci si deve vergognare o stigmatizzare, ma che vale la pena chiedere e ricevere aiuto. Diffondiamo la voce che chiedere assistenza è un segno di coraggio e forza, non di debolezza e fallimento. Ogni anno più persone muoiono per suicidio. Dobbiamo ridurre lo stigma che attualmente accompagna la malattia mentale.”

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Cosa si può fare per prevenire il suicidio?

La storia di Andrea e le sue parole ci ricordano che esiste un legame tra suicidio e disturbi mentali, in particolare la depressione. Andrea, però, ci ricorda anche che si può fare molto, sia a livello individuale che comunitario, per prevenire i suicidi, iniziando proprio dall’abbattere il tabù e lo stigma che molto spesso ancora oggi è diffuso attorno ai disturbi mentali e al suicidio stesso.

Tale stigma, infatti, alimenta il silenzio e la reticenza su questa tematica, portando molte persone che pensano di togliersi la vita o che hanno tentato il suicidio a non cercare aiuto, e quindi a non ottenere quell’aiuto di cui hanno bisogno.

Quindi aumentare la consapevolezza delle persone su una tematica così importante come la prevenzione del suicidio, ed abbattere questo tabù, è fondamentale e può consentire di salvare molte vite.

Ricorda: nel prevenire il suicidio, può risultare decisivo imparare a sentirsi a proprio agio nel sostenere persone che sembrano emotivamente angosciate, in modo non giudicante e supportivo, offrendo loro la possibilità di parlare delle proprie emozioni, di confidare pensieri e sentimenti, aiutandoli a chiedere aiuto ed entrare in contatto con i servizi ed i professionisti del territorio.