Gravidanza e depressione post-partum

Diventare mamma è una fase particolarmente significativa nel ciclo della vita di una donna, che può essere definita quasi come una rivoluzione e una crisi di passaggio. Non si diventa “mamma” appena nasce il bambino, ma è un processo graduale che inizia già in gravidanza e che si completa dopo alcuni mesi che mamma e bambino sono tornati a casa e la mamma realizza di essere divenuta tale.

La gravidanza

Durante la gravidanza, generalmente a partire dal terzo mese, la donna inizia a pensare ed immaginare che tipo di madre potrà essere e inizia anche a sviluppare un’immagine mentale di come potrebbe essere il suo bambino. Con le prime ecografie questo processo immaginativo incrementa: nel periodo tra i quattro e i sette mesi la maggioranza delle future mamme da piena libertà alle proprie fantasie, che diventano sempre più specifiche sia per quanto riguarda le caratteristiche fisiche che i tratti di personalità che il bambino potrebbe avere; mentre tra il settimo o l’ottavo mese il “bambino immaginario” avrà probabilmente già raggiunto il livello massimo di elaborazione cui perverrà nel corso della gravidanza.
Dopo l’ottavo mese invece questo processo immaginativo subisce un brusco rallentamento, poiché si avvicina il momento del parto e la madre inizia a distaccarsi dalle fantasie prodotte, non potendosi permettere che al momento della nascita ci sia troppo differenza tra il bambino reale e quello immaginario. Deve proteggere il bambino reale e se stessa da eventuali ed eccessive discrepanze tra le aspettative che si è creata e il neonato reale. Il bambino immaginario, tuttavia, non scompare mai del tutto.

Il parto come momento di transizione

L’esperienza del parto non trasforma la donna di colpo in madre. Si tratta più che altro di un momento di transizione in cui la partoriente è come sospesa nel tempo, stanca, inebriata e sollevata.
Al momento del parto, la neomamma non ha ancora sviluppato un vero e proprio attaccamento per il suo bambino e non si è ancora resa conto di che cosa significhi prendersi cura di lui. Solo quando lo farà il suo assetto materno prenderà forma.
Il parto è uno dei passaggi finali nella preparazione alla condizione di madre e fa compiere alla neomamma un balzo in avanti verso la formazione dell’identità materna.

L’ultimo step nell’acquisizione del ruolo materno

Quando la madre torna a casa con il proprio bambino avviene l’ultimo step all’acquisizione dell’identità di madre. Attraverso i primi contatti, gli sguardi, l’allattamento, in pratica confrontandosi con la necessità di prendersi cura del piccolo, la madre realizza l ’“essere persona” del suo bambino, si confronterà cioè con un bambino reale e con il nuovo ruolo e le nuove funzioni da attribuire a se stessa. Ora non è più figlia, ma madre.
Questo è un momento caratterizzato sia da “una perdita” legata alla conclusione della gravidanza sia da “un’acquisizione” portata dalla nascita del figlio.

Lo stato psicologico della madre dopo la nascita del figlio

Dopo la nascita del figlio, a livello psicologico, la madre dovrà inizialmente confrontarsi con l’esperienza della perdita: una parte del proprio corpo con cui si era totalmente identificata non c’è più e si ha una brusca intrusione del reale all’interno dell’unità biologica creatasi nel corso dei 9 mesi della gravidanza.
Altra esperienza con la quale dovrà fare i conti è quella della disillusione: è inevitabile che ci sia differenza tra il bambino immaginato (e la fantasia di se stessa come madre) e il bambino reale.
L’integrazione e l’elaborazione di questi aspetti permettono di superare positivamente la crisi d’identità connessa alla maternità.

Il post-partum

Quando una madre torna a casa con il suo bambino dovrà subito fare i conti con i compiti basilari della maternità. È proprio questo incontro con le responsabilità primarie di genitore che permette infine la nascita psicologica della nuova identità di madre.
Il primo compito essenziale della madre è quello di mantenere in vita il bambino. La principale preoccupazione della neomamma è che il bambino smetta di respirare. Molte neomamme hanno paura che il bambino morirà o si farà male per colpa della loro sbadataggine o della loro inadeguatezza. Le paure relative alla sopravvivenza e alla crescita del bambino sono del tutto normali e sono necessarie in quanto svolgono l’importante funzione di mantenere la madre in uno stato di allerta.
Oltre alle paure sopra descritte, nelle settimane successive al parto anche la fatica è una compagna inseparabile che caratterizza il vissuto delle neomamme. Una delle ragioni per cui le neomamme provano tanta fatica è che i bambini molto piccoli sono imprevedibili. Solo dopo molti mesi i cicli relativi alla fame, al sonno e all’attività di veglia si faranno più regolari, permettendo alle neomamme di programmare ragionevolmente i propri tempi e alleviare la fatica.
Oltre ad assicurare la sopravvivenza del bambino la neomamma dovrà affrontare la responsabilità di sviluppare una relazione intima, d’amore con il nuovo arrivato. Ogni madre svilupperà uno stile personale nel modo di stare con il bambino e di regolarne le esperienze. La madre grazie ad una “relazionalità primaria adeguata” stabilirà un legame di intimità ed amore con il proprio bambino. Il termine “adeguato” significa che non esiste una madre perfetta. Le frustrazioni sono una parte essenziale dell’educazione di ogni bambino. Le azioni materne intempestive o maldestre costringono il bimbo a sviluppare opportune strategie di adattamento. Il termine “primaria” si riferisce alla relazione mamma-bambino che si stabilisce prima che il bambino sappia parlare. Si tratta di un rapporto che coinvolge tutti gli elementi fondamentali dell’intimità: senso di attaccamento, innamoramento, atteggiamento profondamente empatico, capacità di identificarsi con il bimbo.
Grazie all’allattamento e al gioco costituito da produzione di suoni, scambi di sguardi e di espressioni del viso, dondolii madre e bimbo interagiscono nella costruzione di un legame fatto di intimità ed amore reciproco.
Un altro aspetto importante della relazionalità primaria è la capacità di identificazione con il bambino, ciò significa riuscire a mettersi nei suoi panni (empatia).

Depressione post-partum: 3 diversi quadri clinici

Negli ultimi anni i mas media hanno acceso i riflettori su un fenomeno da sempre esistente: le madri possono uccidere i figli. Questi fatti ovviamente colpiscono molto l’opinione pubblica e purtroppo vanno ad alimentare il già fortemente radicato stereotipo secondo il quale le donne, subito dopo il parto, devono necessariamente gioire della propria maternità senza esprimere alcun turbamento. Ma in realtà è spesso frequente che una madre possa sperimentare in alcune fasi dell’allevamento del figlio delle pulsioni aggressive.
Esistono, infatti, delle situazioni in grado di provocare reazioni di aggressività e insofferenza nei genitori, facendoli sentire disfatti e impotenti: pensiamo al caso di un bambino che si rifiuti di mangiare nonostante le sollecitazioni della madre, oppure che resista al sonno, o che si svegli ripetutamente durante la notte. Queste reazioni emotive sono generalmente momentanee e vengono represse dalla madre con facilità, mediante l’uso, ad esempio, di commenti autoironici rivolti al figlio: “guarda che cattiva mamma che hai, avrebbe voluto addirittura darti uno schiaffo perché non la fai mai dormire”.
Va sottolineato che queste pulsioni, malgrado si esauriscano velocemente, sono riconosciute e accettate con difficoltà sia dalle madri sia dal loro ambiente di vita ed è proprio il fatto di non poterne parlare e di non accettarlo che potrebbe essere invece pericoloso.

Proprio per quanto sopra detto, negli ultimi tanti si parla molto di depressione post-partum, ma in termini molto generici. Quando si parla di depressione post-partum in realtà si deve fare una distinzione tra tre diversi quadri clinici, accomunati dall’insorgere della depressione dopo la nascita di un figlio, e che sono:

  • la maternity blues (anche detta baby blues);
  • la depressione post-partum;
  • la psicosi puerperale.

Maternity blues

È un lieve disturbo emozionale transitorio di cui soffrono più della metà delle donne occidentali nei giorni immediatamente successivi al parto. Infatti è conosciuta anche col nume di “sindrome del terzo giorno” o “sindrome transitoria”.
I “blues” sono caratterizzati da crisi di pianto, oscillazioni dell’umore, ipersensibilità, tristezza, irritabilità, insonnia, ansia, stanchezza, difficoltà a concentrarsi e confusione mentale. Tali sintomi si accentuano intorno al quinto giorno dopo il parto e tendono a scomparire intorno al decimo giorno.
Essendo un disturbo transitorio tende a scomparire dopo alcuni giorni (entro 2 settimane) senza lasciare particolari conseguenze sulla mamma e sul bambino.
Ha una buona componente di cause fisiologiche-ormonali combinate alle forti emozioni e allo stress da parto e dell’essere diventata mamma. Di norma si risolve da solo ma ricevere aiuto e sostegno nella gestione della casa, del piccolo per avere qualche momento per sé (dal marito, da una nonna o anche avvalendosi di una collaboratrice domestica o di amiche) contribuisce a non farlo degenerare. Anche la condivisone e lo scambio di esperienze con altre neo-mamme, che spesso avviene anche nei forum on-line, si rivela utile.

Depressione post-partum

Si caratterizza per sintomi quali sentimenti di inadeguatezza, d’incompetenza, di disperazione e collera, ipersensibilità, ansia, vergogna, odio, trascuratezza verso se stesse e il bambino, disturbi del sonno e dell’appetito, calo del desiderio sessuale e pensieri suicidari. Oltre a questi si aggiungono poi pensieri di carattere ossessivo relativi al bambino, paure immotivate e non legate alla situazione reale di far cadere e di fare del male al proprio figlio, fino a giungere in casi estremi a pensieri infanticidi.
I sintomi durano da qualche settimana fino ad un anno.

Psicosi puerperale

È il quadro clinico più critico e drammatico dei tre. È uno stato in cui la donna si ritira in se stessa, è triste, rifiuta totalmente il suo bambino affermando di non sopportarlo e di non volerlo vedere, è apatica, trasandata, non si occupa della sua igiene personale, presenta insonnia e inappetenza. Molto spesso riferisce allucinazioni, per lo più uditive, o deliri paranoidi ad esempio che qualcuno la voglia derubare o uccidere. Può presentare sentimenti di autosvalutazione, sentendosi inutile e incapace di accudire i figli.
Questo stato può avere una remissione spontanea e può durare da qualche giorno a 6 mesi.

Il mio consiglio

Se ti sei riconosciuta in alcune delle esperienze sopra descritte o hai riconosciuto un tuo caro e senti il bisogno di parlarne ma non sai con chi, potrebbe essere utile rivolgersi ad un professionista, psicologo o psicoterapeuta, in grado di aiutarti.

Riferimenti:
Quando le madri non sono felici. La depressione post-partum ; di M. Ammaniti,‎ S. Cimino,‎ C. Trentini; Ed. Il Pensiero Scientifico (2009).