Coltivare e preservare un cervello giovane

Nella prima parte di questo articolo abbiamo visto le prime 5 regole per coltivare e mantenere un cervello giovane, adesso invece vedremo le restanti 4 regole:

  • essere ottimisti;
  • praticare l’empatia;
  • coltivare e mantenere legami sociali;
  • essere autentici.

6sta regola: un cervello giovane è ottimista

L’ottimismo è il profumo della vita, per dirla come Tonino Guerra in un celebre spot pubblicitario di qualche tempo fa. Essere ottimisti infatti ci aiuta ad affrontare le sfide della vita con positività, serve a farci guardare al domani con speranza e fiducia. Questo è importante a maggior ragione con il passare degli anni, quando gli effetti del trascorrere del tempo iniziano a farsi sentire nel nostro fisico, quando gli anni che restano da vivere sono molti meno di quelli già trascorsi e le persone care, parenti ed amici, iniziano piano piano ad andarsene. Affrontare la seconda metà della vita con coraggio, gioia e meraviglia è l’essenza dell’ottimismo. Infatti l’ottimismo ci permette di perseverare, di non far morire la speranza, di perseguire la felicità nonostante gli ostacoli  e i problemi attuali. Quando il nostro obiettivo non è immediatamente raggiungibile, l’ottimismo ci aiuta a motivarci a portare pazienza, mentre cerchiamo il modo di raggiungerlo. In sintesi, l’ottimismo serve a fare in modo che non ci arrenderemo davanti ai problemi e alle sconfitte che sicuramente prima o poi incontreremo nel corso della nostra vita. L’ottimismo infatti si è sviluppato dalla capacità:

  • di immaginare un obiettivo futuro;
  • di ignorare o minimizzare le probabilità sfavorevoli nel raggiungere l’obiettivo;
  • di mostrare perseveranza con caparbietà e pazienza;
  • di sovrastimare il piacere della ricompensa ottenuta con il raggiungimento dell’obiettivo.

Ci sono una cattiva e una buona notizia che riguardano l’ottimismo: quello cattiva è che, essendo una facoltà, non tutti siamo dotati della stessa quantità di ottimismo, c’è chi ne ha più di altri; la buona notizia è invece che quasi tutti possiamo migliorare il nostro livello di ottimismo attraverso l’esercizio. Come appena detto, non tutti abbiamo lo stesso livello di ottimismo, si va, ad un estremo, da chi non ne ha nemmeno un briciolo e quindi è in uno stato di completa impotenza, a chi all’estremo opposto ne ha troppo e sfiora la pazzia. Nel primo caso, quello dell’impotenza, i problemi ci sembrano irrisolvibili, ci imprigioniamo da soli in una gabbia mentale attraverso le nostre percezioni negative. Nel secondo caso invece c’è il rischio di allontanarsi così tanto da quello che è realmente fattibile e l’ottimismo si trasforma un’illusione fantastica. Quindi la condizione migliore è quella di avere o sviluppare un ottimismo equilibrato, controbilanciando le aspirazioni che guardano lontano con un saldo ancoraggio nel mondo reale. Per farlo possiamo esercitarci nell’ottimismo: il nostro cervello può essere allenato e così facendo possiamo ottenere benefici importanti per la salute. Lo sviluppo di ottimismo dipende da tre filtri di elaborazione delle informazioni. Il primo filtro è quello dell’attenzione selettiva: si tratta di imparare ad operare scelte attive sul modo in cui percepiamo noi stessi e il mondo intorno a noi. Infatti quello a cui prestiamo attenzione finisce con il determinare essenzialmente ciò che vediamo e farci quindi vedere il bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto. Per far crescere l’ottimismo dobbiamo quindi selezionare attivamente e consapevolmente quello su cui concentrare la nostra attenzione. Il secondo filtro è costituito dalla percezione che abbiamo del controllo degli eventi, detto anche locus of control (di cui ho parlato anche in un precedente articolo). Chi ha un locus of control interno pensa di poter incidere sugli eventi per modificarli e quindi si attiva per farlo. Chi invece ha un locus of control esterno si sente in balia degli eventi, percependo di non poter fare nulla per cambiare la situazione e quindi è tendenzialmente passivo nelle proprie scelte quotidiane. Infine il terzo filtro riguarda l’attribuzione di causa ed effetto: quando ci accade qualcosa cerchiamo sempre di dargli un senso, di attribuirgli una causa. Questo lo facciamo attraverso tre dimensioni:

  • interno – esterno;
  • stabile – instabile;
  • globale – locale.

La prima dimensione è quella del locus of control di cui abbiamo appena parlato. La seconda determina se la causa di un evento è percepita come un evento singolare o come un flusso continuo. Ad esempio se una persona dice: “so che supererò anche questo esame perchè a scuola sono sempre andato bene”, mostra un locus of control interno (so che posso) e attribuisce questo ad una qualità personale stabile (sono sempre…). Infine la variabile globale-locale determina se attribuiamo l’evento ad una causa singola bene identificabile (“ieri ho perso l’autobus perchè non trovavo le chiavi di casa per chiudere la porta”) oppure ad una causa globale, sempre presente e ineludibile (“ieri ho perso l’autobus perchè non sono bravo ad organizzarmi e sono sempre in ritardo perenne”). Quello che dobbiamo fare per accrescere il nostro ottimismo è allenare la nostra mente ad utilizzare positivamente i tre filtri sopra descritti ed a visualizzare le possibilità positive negli esiti futuri, anticipando la ricompensa positiva che possiamo ottenere attraverso i nostri sforzi costanti.

7ma regola: un cervello giovane è empatico

L’empatia è la capacità di mettersi nei panni dell’altro. Oltre ad avvicinarci all’altro, sviluppare e mantenere livelli alti di empatia è molto importante quando si invecchia. Infatti gli studi rilevano che con l’avanzare dell’età l’empatia inizia a declinare, a meno che non venga espressamente e regolarmente praticata, e questo può portare a sperimentare sentimenti di disconnessione o  isolamento sociale. L’empatia favorisce l’intimità emotiva e questa è un legante che mantiene le relazioni vive, vibranti e amorevoli. Conservare e addirittura approfondire l’intimità nella seconda metà della vita è molto importante perchè l’invecchiamento è pieno di stress che si intensificano con il tempo e chi è legato più intimamente ad altri riesce a sostenere meglio tale stress. Sviluppare e mantenere una connessione intima con un partner o con gli amici genera una rete protettiva che sostiene e salvaguarda dalle perdite e disavventure che si accumulano nel tempo. Essere empatici significa innanzitutto sapersi sintonizzare con se stessi ed usare poi questa consapevolezza interiore per sintonizzarsi meglio con gli altri e per questo è importante per costruire comunità sociali più connesse. Non a caso le ricerche mostrano una relazione positiva tra una capacità di empatia ben sviluppata e l’altruismo. Come si fa ad accrescere la propria capacita empatica? Semplice, esercitando:

  • l’ascolto attivo;
  • la curiosità come mente aperta.

Per ascolto attivo si intende ascoltare l’altro con un orecchio non giudicante, anzi sospendendo il proprio giudizio personale e calandosi nella prospettiva dell’altro accettandola (accettare NON vuol dire condividere).

Per curiosità come mente aperta si intende avere un atteggiamento mentale opposto a quello dell’essere prevenuti, di avere un pregiudizio. La curiosità ci avvicina all’altro perchè ci fa percepire che l’altro ha qualcosa di importante da offrire.

Esercitare l’empatia nelle nostre relazioni personali e sociali è importantissimo poichè contribuisce a fare in modo che il mondo che ci lasciamo alle spalle sarà più gentile, piacevole e amorevole.

8va regola: un cervello giovane è ben connesso

Tra le varie paure che abbiamo, una delle più primitive e viscerali è quella di essere soli e dimenticati. Cioè la paura della solitudine. La solitudine non riguarda  la mancanza di contatto fisico effettivo con altre persone, ma è un sentimento psicologico di disconnessione dagli altri e per affrontare e superare questa paura abbiamo bisogno di sperimentare relazioni vive, sincere e dinamiche con altre persone. Siamo infatti animali sociali, abbiamo bisogno dell’altro fin da prima della nostra nascita, quando siamo nel grembo materno. Iniziamo la nostra vita connessi a qualcun altro attraverso il cordone ombelicale. Quando questo viene tagliato, da un lato, iniziamo il nostro viaggio verso l’autonomia e l’autosufficienza, dall’altro comincia la nostra ricerca incessante di connetterci ad altri per sperimentare quella sicurezza e quella comodità che abbiamo vissuto quando eravamo nella pancia della nostra mamma. La nostra vita è proprio contrassegnata da questa ricerca costante del partner ideale, di una persona che sappia cogliere quasi intuitivamente i nostri bisogni e desideri, senza che dobbiamo chiedere.

L’emisfero destro del nostro cervello è deputato a riconoscere forme che hanno un grande impatto sul modo in cui e con chi costituiamo le nostre relazioni: gli schemi vocali, le abitudini nelle espressioni facciali, l’emergere di emozioni e quali emozioni tendono ad essere dominanti, l’espressione di un bisogno di amore e di intimità. Quando incontriamo un’altra persona l’emisfero destro ci guida nel decidere rapidamente se scegliere per l’avvicinamento o per l’evitamento, aiutandoci quindi ad imparare cosa è sicuro e privo di pericoli. Durante i primi anni di vita l’emisfero destro è impegnato in questo lavoro di codifica degli schemi relazionali non verbali, ricchi di emozioni, per imparare che cosa ci fa sentire al sicuro, che cosa ci fa sentire desiderati e amati, cosa incoraggia l’indipendenza e la fiducia e cosa invece segnala pericolo. Questi apprendimenti sono gli elementi fondamentali dell’attaccamento emotivo e ci accompagnano per tutta la vita, avendo un ruolo importante anche nell’invecchiamento, e possono essere modificati e modellati grazie all’attenzione consapevole e ad un esercizio costante. Infatti è  soltanto approfondendo la consapevolezza delle nostri schemi relazionali che possiamo metterci nelle condizioni di sviluppare nuovi schemi grazie ai quali poter vivere più pienamente. Quindi per implementare i nostri legami con le altre persone quello che dobbiamo fare è aumentare la consapevolezza di noi stessi, delle nostre reazioni, emozioni e scelte. Ed è importante perchè avere relazioni aperte e intime con gli altri vuol dire avere una maggiore capacità di migliorare la propria salute e il nostro benessere. Ad esempio oggi constatiamo che molti problemi di salute sono dovuti a stili di vita malsani e che queste scelte comportamentali sono fortemente influenzate dalla qualità delle nostre relazioni sociali. Questo perchè siamo più motivati a mettere in atto cambiamenti comportamentali quando sono collegati ad un profondo significato personale e questo aumenta quando le variabili interne (come l’autostima) sono collegate alla presenza di variabili esterne di connessione sociale (come la sensazione di essere amati). Domandatevi quindi:

  • mi sento amato?
  • non mi sento da solo quando prendo decisioni importanti?
  • mi sento rispettato ed ascoltato?
  • mi sento sostenuto?
  • faccio parte di un ambiente in cui si presentano nuove occasioni di apprendimento?
  • mi fido delle persone a cui sto a cuore?

Se la risposta è pienamente affermativa a ciascuna domanda, allora è molto probabile che facciate parte di una rete sociale robusta e che sperimentate le ricompense di un cervello giovane che l’accompagnano. Se invece le risposte non sono così positive, allora è il momento per iniziare a rafforzare il vostro legame con le altre persone.

9na regola: un cervello giovane è autentico

Come affermava Carl R. Rogers quel che sono è sufficiente, se solo riesco ad esserlooppure per dirlo nella sua lingua I’m not perfect … but I’m enough. Diventare pienamente se stessi è un lavoro di una vita, che non si conclude mai. Può sembrare facile vivere essendo pienamente se stessi, ma in realtà la maggior parte di noi non lo fa: cerchiamo di compiacere gli altri, spesso per paura di non essere accettati, di non essere amati. Questo germe attecchisce nell’infanzia e uno dei compiti fondamentali dell’invecchiare è rivendicare il diritto acquisito alla nascita di godere dei doni dell’essere veramente se stessi, ovviamente se siamo consapevoli e in grado di riconoscere la nostra perdita. Il seguente racconto di Portia Nelson illustra egregiamente come possiamo progressivamente rendercene conto e riprendere quindi in mano la nostra vita:

Autobiografia in cinque brevi capitoli

Capitolo 1: Cammino per la strada. C’è una buca profonda nel marciapiede. Ci cado dentro. Sono persa… Sono impotente. Non è colpa mia. Ci vuole un’eternità per trovare una via d’uscita.

Capitolo 2: Cammino per la stessa strada. C’è una buca profonda nel marciapiede. Faccio finta di non vederla. Ci cado dentro di nuovo. Non posso crederci, sono di nuovo nello stesso posto. Ma non è colpa mia. Ci vuole ancora un’eternità per uscirne.

Capitolo 3: Cammino per la stessa strada. C’è una buca profonda nel marciapiede. La vedo. Ci cado dentro ancora… è un’abitudine. Ho gli occhi aperti. So dove sono finita. E’ colpa mia. Esco immediatamente.

Capitolo 4: Cammino per la stessa strada. C’è una buca profonda nel marciapiede. Ci giro intorno.

Capitolo 5: Cammino per un’altra strada.

In questo momento della vostra vita, dove vi vedete nel racconto? In quale capitolo vi ritrovate?

Vivere una vita autentica sembra semplice, ma non lo è. Ci vuole coraggio, perchè spesso comporta il dover affrontare più difficoltà, più rischi e vulnerabilità. Allora perchè farlo? Cosa se ne guadagna? E come si può riconoscere quando si vive essendo veramente se stessi? Ecco 5 segnali che ci suggeriscono che si è sulla strada giusta per vivere autenticamente e che ci svelano anche come questa ci può ripagare:

  1. Fluidità: nel raggiungere i propri obiettivi, si deve ancora faticare molto, ma c’è un senso di facilità, di naturalezza nel farlo che lo farà sembrare meno un dovere e più un piacere;
  2. Autoaccettazione: conoscersi realmente ci libera dal dover raggiungere o soddisfare le aspettative proprie e altrui. E ci porta a sperimentare maggiore amore per noi stessi;
  3. Vulnerabilità: possiamo permetterci di essere vulnerabili, aperti e quindi di rischiare di più. Questo perchè ci sentiamo più sicuri di noi;
  4. Apprezzamento: quando smettiamo di rifiutare alcune parti di noi ricaviamo ancora più piacere da quegli aspetti che già apprezzavamo. Questo ci rende più sani e più felici;
  5. Serenità: quando ci si accetta, smettendo di opporre resistenza a ciò che si è, ci pervade una sensazione di serenità e calma.

Un ultimo consiglio

Le regole descritte in questo articolo sono uno spunto, un aiuto per aiutarti a coltivare e preservare un cervello giovane e quindi creare il tuo personale sentiero verso una vita piena e autentica, ricca di significato e di finalità. Se ti rendi conto che da solo non riesci a farlo, potrebbe essere utile rivolgersi ad un professionista, psicologo o psicoterapeuta, in grado di aiutarti e accompagnarti in questo percorso.

Riferimenti

Una mente sempre giovane (2017), di H. Emmons e D. Alter, ed. Urra Feltrinelli.